Consulta anche la mappa dei luoghi romani di Cassola: I luoghi romani di Carlo Cassola
Al momento è del tutto inedito uno studio dei luoghi romani di Cassola che, a differenza di quello che sostengono alcuni critici, non risultano trascurati nell’opera, nonostante l’ambientazione toscana degli scritti più noti. I luoghi romani prescelti hanno come comune denominatore la forte connotazione simbolica, assumendo nel contesto narrativo un significato “altro” ben oltre il realismo topografico. Di seguito, alcuni esempi.
Via Valadier
Nel racconto lungo “intitolato” all’appartamento / rifugio per gli antifascisti del quartiere Prati (“La casa di Via Valadier”), questa via umbertina rappresenta il conflitto ideologico vissuto in Italia in età fascista, non disgiunto da quello emotivo e sentimentale dei protagonisti della narrazione. I sentimenti burrascosi che sfociano in contrasti all’interno de “La casa”, alludono chiaramente alla spaccatura della società italiana nel ventennio, un tema caro all’autore, così come quello dell’esito incerto di quelle tensioni nel periodo postbellico. I rapporti conflittuali tra i personaggi principali, parte della stessa famiglia, non trovano infatti una soluzione neppure a guerra finita, complicandosi ulteriormente: la riflessione sull’impossibilità di un giudizio definitivo e di una lettura univoca della guerra e della Resistenza è qui proposta, dunque, nella forma di conflitto familiare proprio nella città resa da Mussolini sua nuova Urbe, Roma.
Monte Mario
In “Monte Mario”, racconto realistico e subliminare a un tempo, la collina romana celebrata da Orazio e da Dante è un luogo dello spirito, spazio appartato dal quale osservare la città in una dimensione atemporale non urbana. Il monte con i suoi anfratti e con le sue taverne improvvisate è sospeso sul Tevere così come sospesa è l’attesa dell’appagamento del desiderio dei personaggi maschili descritti; l’unico elemento che riconduce alla realtà del luogo sono i binari del tram, dai quali il monte è segnato lungo tutto il suo declivio. E’ la periferia della città: luogo di elezione, non di confine, l’angulus più amato dallo scrittore.
Via Clitunno - Via Rubicone
Lungi dalla retorica fascista che ne celebrava sia la ricercatezza architettonica che il rimando alla grandezza di Roma per l’ampio uso del travertino nei fabbricati, il quartiere degli anni della fanciullezza, Trieste - Coppedè, è per Cassola “[---] un insieme di case grigie, vasti fabbricati con cortili sempre in ombra, strade ugualmente grigie, monotone e tristi... ” ((da “Il mio quartiere”, in La visita, Einaudi, Torino 1962). Lo scrittore ricorda quei luoghi densamente popolati, privi tuttavia di vitalità. Eppure, anche quegli spazi così poco amati conservano nella memoria un luogo incantato, il giardino di casa, dove “ero felice come solo può esserlo un animale in gabbia. Tutto quello che succedeva fuori non arrivava a me”. Qui lo scrittore scopre il piacere della lettura, sperimenta il confronto con la sorella, prova le prime gioie come quella di poter restare a casa in un pomeriggio festivo o, evitando la scuola, in un giorno di nevicata. Roma diviene così luogo della memoria e della prima coscienza di sé: “Ho il ricordo malcerto di un giorno lontanissimo [---]: ho tre o quattro anni ed è come se i miei occhi si affacciassero per la prima volta nel mondo: in quel momento ho coscienza di esistere la prima volta”. Via Rubicone, parallela di via Clitunno, è menzionata nell'ultimo capitolo de "La casa di via Valadier".
Viale Regina Elena - fermata del tram Policlinico
Lo studente Cassola mentre si reca in tram all'Università immagina un incontro d'amore tra Elena e Fritz, due giovani iscritti alla Facoltà di Medicina: è il tema del racconto “Studenti”, incluso nella raccolta di brevi scritti del 1942. Il paesaggio urbano dell’epoca non pare molto diverso rispetto a quello attuale: “Io scesi [dal tram] all'Università. Nel pomeriggio nuvoloso i viali erano deserti: le costruzioni apparivano aride e senza vita, di là dai cipressi del camposanto fischiava un treno [.....]: mentre sopra il tetto del Policlinico si levava impetuosamente fumo nero scaturito dalle viscere dei padiglioni [....]. E vidi, tornando a piedi per il viale alberato, il susseguirsi di quei padiglioni, cinti da brevi pezzi di giardino, comunicanti tra loro per corridoi aerei, con su scritti a gran lettere nomi italiani e stranieri” (da “Studenti”, in La visita, I Meridiani, Oscar Mondadori II edizione, Milano 2016).
Pincio – Trinità dei Monti – Quirinale: “la nostra vecchia Dublino”
Manlio è uno dei migliori amici dello studente protagonista del racconto “Gli amici”, giovane alter ego dell'autore: per far tornare a Roma il compagno di passeggiate e di letture, trattenutosi fuori città per le vacanze, Manlio gli ricorda le meraviglie dell'Urbe. Queste ultime non sono le rovine o il clima mite e soleggiato, ma i luoghi romantici e a tratti nebbiosi del centro storico detti scherzosamente “la nostra vecchia Dublino”: “La mia amicizia con Manlio si nutriva di letture in comune. Al tempo di Joyce giravamo per il quartiere che dal Corso risale fino alle tre scalinate, ai tre promontori alti sul risucchio delle case ammucchiate e antiche; e sono questi tre promontori il Pincio, la Trinità dei Monti e il Quirinale. E Manlio sapeva prendermi per il mio verso […] con frasi di questo genere: ‘La nebbiolina intorno ai fanali accesi da poco…..e il primo freddo fanno sentire più acuto il richiamo della nostra vecchia Dublino, delle sue viuzze in fondo a cui si vedono passare fittamente automobili o forse nere di passanti in uno sfarzo luminoso: sono là in fondo le grandi arterie del Corso e del Tritone…’ ” (da “Gli amici”, in La visita, Einaudi, Torino 1962).
Trionfale
Per il sig. Maggiorelli ne “La casa di via Valadier” il quartiere Trionfale è in “capo al mondo”: la periferia nord ovest della città, residenza del delatore Bisori, è lontana chilometri da casa sua e non l’ha mai visitata. Il quartiere, attraversato da un tram, è popolare, abitato da commercianti ed impiegati, fitto di grandi caseggiati ed ospita in una piazza il Luna Park.
Tiburtino
Tiburtino, Porta Metronia, San Giovanni e Porta Maggiore sono definiti ”tetri quartieri” dei quali viene ricordato soltanto il passaggio del tram (“La casa di via Valadier”). È questa la Roma, poco amata, ma più conosciuta da Maggiorelli, il protagonista del romanzo.
Via della Bolletta - Piazza Navona
Nella parte conclusiva de “La casa di via Valadier” Leonardo Franzoni, tornato a Roma da Milano per commemorare l’onorevole Turri, dimora presso un albergo non lontano dal Corso, a vicolo delle Bollette detto nel romanzo via della Bolletta. Leonardo non può fare a meno di notare la differenza tra le due città: le piccole vie del centro della capitale sono piene di artigiani seduti alle porte delle botteghe, di venditori, ciclisti e pedoni; giunto a piazza Navona, è preso dalla bellezza della piazza, della chiesa del Borromini e della fontana del Bernini: “[---] Dio! com’è bella Roma. Che cosa non pagherei per tornare a viverci”. Leonardo prosegue verso via Valadier avvicinandosi al Lungotevere dove, affacciandosi alla spalletta del ponte, non può che pensare: “Che senso di respiro dà un fiume alla città. Che cosa è mai una città se non è attraversata da un fiume?”. Il giovane Franzoni è uno dei rari personaggi cassoliani che apprezzi davvero Roma nella sua bellezza.
Villa Gangalanti Lancellotti
Alla metà degli anni '70 del secolo scorso, Carlo Cassola si interrogava sul futuro urbanistico della città e in particolare sulle sorti del suo quartiere, il Trieste Salario. In pieno "sacco di Roma" lo scrittore non può essere che pessimista: "Perché girare tra queste strade mi rattrista? Mentre non mi rattrista girare per le strade del centro, che da giovane erano finite per diventarmi anch'esse familiari? Forse perché la periferia dà maggiormente il senso della provvisorietà. Mezzo secolo non è stato sufficiente a rinnovarla di sana pianta; un secolo basterà. Spariranno i casamenti umbertini che fiancheggiano il Viale della Regina, spariranno le villette e i giardinetti, spariranno anche i lecci della scomparsa Villa Lancellotti. Nel 2000, o nel 2020, è impensabile che sopravviva ancora qualcosa di quello che mi ha visto nascere o che ho visto nascere io da bambino. Mentre il centro, malgrado le malefatte della speculazione edilizia e le nuove necessità della vita, conserverà sempre il suo carattere. Le chiese barocche e i palazzi rinascimentali rimarranno al loro posto. Ma che importa a me di quello che sarà nel 2000 o nel 2020? Cerco di attribuire la tristezza da cui sono stato preso a una causa puramente personale. Le spiegazioni puramente personali, d'altronde, sono le sole che valgono. E' che la mia infanzia, qui, non è stata felice. Nemmeno la mia adolescenza. Che ragione avrei dunque di amare questo quartiere? Certo, non sarebbe nemmeno giusto che lo mettessi sotto accusa. Esso è stato semplicemente uno specchio. In questa strade s'è specchiata la mia natura, che non era quella di un bambino felice, di un ragazzo felice" (da Fogli di diario, Rizzoli, Milano 1974, 27). Una vera memoria del paesaggio, dunque, questa testimonianza che suggerisce come il giovane Carlo percepisse inconsciamente e malinconicam